«Meridionali inferiori». Libertà di pensiero o Censura?
Ecco la nostra risposta
Premessa: la liberta di pensiero è cosa diversa dalla libertà di espressione. Il pensiero non può essere difeso o attaccato. Lo hai dentro e puoi tenerlo per te o esternarlo in mille forme diverse. Fino a che non lo esterni si chiama pensiero, se lo esterni si chiama espressione, o espressione del pensiero. L’espressione è dunque un’azione e come tutte le azioni determina delle conseguenze. L’offesa e la calunnia per esempio sono azioni passibili di denuncia. Ne consegue che in base alle conseguenze che sono disposto a subire posso scegliere l’espressione per manifestare il mio pensiero. Un imputato che conferendo in privato col suo avvocato definisce “mentecatto” il Giudice, è passibile di denuncia? E se rivolge ingiurie al Giugice durante il processo? Difficile immaginare che il Giudice in nome della «libertà di pensiero» vedendosi ingiuriato non risponda con azioni penali.
Talvolta l’espressione stessa non manifesta il vero pensiero. Si pensi ad esempio a chi col pretesto della religione viene risparmiato, o ucciso, se rinnega o meno la propria fede.
Il dibattito sulla dichiarazione “i meridionali sono inferiori” del direttore del giornale Libero, Vittorio Feltri, fatta durante la trasmissione “Fuori dal Coro” ha ovviamente occupato la scena dei numerosi talk show televisivi, delle trasmissioni radiofoniche, dei giornali e dei cosiddetti social. Anche dei bar diremmo, se non fossero chiusi. Ma poiché Feltri come opinionista di quella tramissione televisiva aveva reso abituali le sue forti esternazioni, famose come i titoloni del “giornale” da lui diretto, l’accendersi di questo dibattito ci ha “sorpreso”. Feltri era solito spararle grosse sui meridionali, pertanto la sensazione è che stavolta abbia solo esplicitamente utilizzato un vocabolo non accettevole alla deontologia.
Si è scatenata così la solita battaglia fra tifoserie, utile agli addetti ai lavori a riempire i loro format del nulla più che al cittadino:
Libertà e trasparenza di pensiero contro ogni censura, oppure, lecito condannare una frase che sconfina nella indecenza?
Andiamo all’immagine sopra. Che differenza può esserci fra le due scritte, l’una contro gli ebrei l’altra contro i meridionali? Penalmente nessuna. Eppure, state certi, a seguito di una denuncia o dibattito l’autore di quelle scritte potrebbe (col pretesto dell’oppressione israeliana verso i palestinesi o col pretesto della criminalità al Sud) giustificare il suo gesto mistificando il suo pensiero. Esattamente come ci sembra abbia fatto Feltri dopo le minacce di denuncia. E qualcuno potrebbe ritenere fondato il suo pensiero. Ma l’espressione resta sbagliata, smodata, offensiva, assurda, ingiustificabile.
Partendo dal ragionamento iniziale, Feltri non è attaccabile per il suo pensiero (che resta suo e può avere mille sfaccettature), ma lo è per la forma espressiva adottata. Condividere (come molti padani) il suo pensiero è lecito, ma se utilizzi una forma espressiva che mi offende o che considero discriminante o razziale, allora ho il diritto di denunciarti. E la denuncia, formale o meno, non è censura . Spacciare per censura una denuncia è una pratica che limita la libertà acclamata. È necessario dunque ragionare sulla base del diritto per poter dare una risposta seria all’interrogativo e spiegare quindi perché il Feltri è condannabile. Da un giudice? Lo sapremmo con un processo. Dall’ordine dei giornalisti? Potrebbe essere (in Italia, Feltri? Utopia). Dai cittadini? Certamente si.
Se è il loro pensiero.